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TESTIMONE DELLA STORIA

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Le pietre hanno tanto da raccontare, a chi ne sa esplorare i silenzi.

Ci siamo divisi in quattro gruppi, ognuno dei quali ha proposto alla classe un bene presente sul territorio. I beni considerati sono stati lo scavo romano di Bedriacum, situato tra Calvatone e Bozzolo, l’Abbazia della Gironda, primo nucleo insediativo di Bozzolo, Palazzo Aporti, a San Martino dall’Argine e le Mura di cinta, a Bozzolo. Il bene ritenuto più significativo dalla classe, espressasi attraverso una votazione, è stato proprio quest’ultimo.

A questo punto è iniziato il vero e proprio lavoro. Un gruppo di noi si è occupato di reperire informazioni legate al bene stabilito attraverso ricerche in rete e consultando diverse pubblicazioni. Un secondo gruppo si è occupato delle registrazioni e del montaggio del video. Un terzo gruppo ha intervistato lo storio locale Ludovico Bettoni che, con i suoi 97 anni ci ha fornito preziose indicazioni, molte delle quali inedite, sulle Mura.

Incrociando tutto il materiale, ora sappiamo che la prima idea di edificazione è di Vespasiano Gonzaga, nel 1577, in contemporanea all’ampiamento del borgo.  In quel tempo, Bozzolo diviene una sorta di “paese-dormitorio” per gli operai, principalmente arrivati dal Piacentino, che lavorano alla costruzione delle Mura di Sabbioneta.

Solo con Cesare Gonzaga, in strette relazioni con gli Asburgo, Bozzolo diventa prima Città e poi Principato e, come tale, non può essere sprovvista di mura. Avrà così inizio la vera e propria costruzione della cinta, successivamente completata da Scipione Gonzaga. Pertanto, le Mura, più che ricoprire un ruolo di difesa da possibili attacchi nemici, hanno un più evidente significato estetico e simbolico: di prestigio per i viandanti e di monito per gli altri signori locali. Svolgono anche una funzione doganale e daziaria sulle merci in entrata ed in uscita. Vengono costruite su un retrostante terrapieno, con mattoni provenienti da materiali di recupero ricavati dalla demolizione delle fortificazioni di altri borghi del feudo. Il terreno limaccioso, però, le rende da subito fragili. Per tali motivi, oltre che per consentire l'espansione del paese, le Mura verranno in gran parte abbattute tra l’Otto e il Novecento, non solo per le condizioni fatiscenti della zona sud-ovest, ma poiché, soprattutto negli anni ’20, Bozzolo versa in una grave crisi economica. La demolizione, quindi, consente di creare opportunità di lavoro.

Successivamente alla Seconda Guerra Mondiale, iniziano a sorgere organizzazioni a tutela del patrimonio artistico, culturale ed ambientale. In questo contesto, nel 1972, l’Istituto Italiano dei Castelli restaura un breve tratto delle Mura presso porta San Martino. Ma molto rimane da fare.

Nel 2012, in seguito al terremoto che colpisce anche le nostre zone, si verificano diversi crolli; subito, ciò che rimane delle Mura viene messo in sicurezza.

In questi anni, adiacente le Mura, è stata creata una pista ciclabile per rendere più fruibile la visita e fornire un servizio ai cittadini. È ormai consuetudine, infatti, vedere persone fare jogging, passeggiare o girare in bicicletta lungo il loro perimetro.

Nell’ottobre 2024, poi, sono stati ripresi i veri e propri lavori di restauro, grazie al contributo dell’Amministrazione Comunale, della Regione Lombardia e del Ministero della Cultura.

Quello che rimane oggi delle Mura è solo un tratto ad est. Per chi arriva da Mantova, esse rappresentano il biglietto da visita di Bozzolo, e la testimonianza del suo illustre passato. Per i Bozzolesi, esse sono un simbolo di identità. 

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A spiegarcelo, sono qui le stesse parole del professor Bettoni, in un incontro che per noi rimarrà indimenticabile.

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Perché le mura sono importanti?

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Domanda fondamentale. Le mura vengono erette da Scipione Gonzaga. Ma vediamo di capire meglio il senso della forma e, soprattutto, la ragione della loro costruzione. Bozzolo, prima del 1550-60 circa, aveva una forma diversa. Precedentemente, il nucleo di Bozzolo consisteva nella cittadella, che si estendeva dalla piazza a via Arini e tra via Paccini e la cosiddetta Siberia, con una zona che scendeva verso la campagna. Ad un tratto, Bozzolo cambia forma. Il motivo è l’intervento di Vespasiano Gonzaga, che ha costruito Sabbioneta ex novo facendone una fortezza. Contestualmente, costruisce le mura e le porte di Rivarolo. Qui a Bozzolo, paese a cui non era particolarmente affezionato, c’era il castello, che di fatto era il palazzo del Principe. Vespasiano decise di ospitare a Bozzolo tutti coloro che lavoravano per lui, dal ‘50 al ’90 circa. Muratori, falegnami, scalpellini non bozzolesi ma, per lo più, provenienti dal Piacentino, per la precisione dalla zona di Caorso. Questa commistione lascerà tracce forti nel nostro dialetto, fortemente influenzato dal caorsino. Per ospitarli, Vespasiano edifica ad occidente la parte del paese che ancora oggi mantiene un impianto urbanistico regolare, perpendicolare, alla romana. In questo modo, Bozzolo viene spostata nel suo baricentro primigenio. La parrocchia, che era sulla curva della cosiddetta Siberia, si ritrova ad essere in periferia. Il paese, circondato già da fossati, non è ben difeso e, anche alla luce degli sviluppi politici, occorre provvedere. Alla morte di Vespasiano, gli succede Giulio Cesare, cugino povero del ramo di S. Martino. Giulio Cesare, prepotente, rissoso e ambizioso, ottiene Bozzolo dalla divisione dei beni. Amico personale di Rodolfo d’Asburgo, ottiene per il borgo il titolo di città e ne diventa Principe. Una città senza mura non è ammissibile, è quasi un obbligo sia di immagine sia istituzionale. Ma lui non ne ha i mezzi. L’unica opera che riesce ad edificare è la porta verso Cremona e, in bozza, quella rivolta verso S. Martino dall’Argine. Alla morte di Giulio Cesare, ormai paralizzato e con la moglie che ne fa di fatto le veci, è la volta di Scipione, figlio di Isabella e di Ferrante. Scipione è un personaggio importante, crudele, cattivo, taglia teste e le appende alle porte. Ottiene la carica di ambasciatore del Sacro Romano Impero. È un Principe temuto, e le mura cominciano sotto di lui. Da est a sud, poi verso ovest. Il nord non ha i bastioni, in quanto occupato dal castello e delimitato dall’acqua che scorre su quel lato del paese. Da quel lato, quindi, i bastioni sarebbero cedevoli, e ci si accontenta di un muraglione. Già Vespasiano aveva fatto circondare il castello da terrapieni. Scipione termina le mura. Non servono certo alla difesa, come invece servono a Sabbioneta, in quanto l’offesa in quel periodo prevede l’uso dell’artiglieria ma, come dicevo prima, sono di importanza araldica, legata al titolo di città, ricoprono funzione doganale, daziaria e di sicurezza. All’interno delle mura ci sono i vigilanti, le guardie nobili, ovvero gli abbienti bozzolesi benestanti che, d’accordo con il principe, effettuano ronde. Quindi, si sta meglio in paese che fuori, in quanto la situazione nelle cascine è a rischio. E per questa ragione, parecchi forestieri abbienti vengono ad abitare a Bozzolo, più confortevole, sicura, salutare per ragioni anche di igiene.

 

Quali sono le principali differenze tra le mura di Bozzolo e quelle di Sabbioneta?

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Molte, e sostanziali. Le mura di Sabbioneta, edificate da Vespasiano, resistono agli assedi. Sono basse, possono portare cannoni. Le mura di Rivarolo, invece, sono un mero ornamento. I loro merli sono ghibellini, imperiali. Vespasiano colloca dappertutto il motto Libertas, un monito nei confronti della Spagna, giocando su un finto medioevo. Un Suo ricordo particolare legato alle mura?In via 25 Aprile, nell’attuale parcheggio dell’ospedale, fino agli inizi degli anni ’70 c’erano un bastione con le mura, chiamato Belvard. Nella doppia accezione di baluardo e di belvedere. Nei miei ricordi di ragazzo, in via Valcarenghi, c’era il muraglione, collocato di fronte alla scuola primaria. Lì, a fine ‘800, avevano edificato il tiro a segno; per i giovani dell’italia appena unita era un passatempo che, con il pretesto ricreativo, li preparava ad esercitarsi per le guerre in difesa della patria. Il tiro a segno era uno spazio piccolo e lungo, una striscia di terra perché bisognava sparare lontano. Trent’anni dopo circa, la striscia di terra veniva coltivata a fiori e frutta. La Prima guerra mondiale ha spazzato via tutto questo.

 

Si giocava attorno alle mura?

 

Le mura erano costruite su un terrapieno, Bozzolo era circondata da terrapieni. Su di essi, che in dialetto chiamavano trài, che significa terragli, a ovest e a sud, transitavano contadini. Lungo il loro perimetro non c’erano case civili ma solo alcune abitazioni rustiche. I ragazzi andavano nei pressi a giocare. Andòm in s’al trài. Andavo anch’io. Gli adulti lì non c’erano, e si era liberi. Le mura rivolte verso est erano in ottime condizioni anche ai miei tempi. Lì c’era il bastione. Lungo via Belfiore erano invece già sparite. Appena terminata la Prima Guerra Mondiale, la zona demolita è stata quella del sud ovest.

 

È valsa la pena ristrutturarle?

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Certo. Bozzolo ha perso tante occasioni della sua memoria, nel corso del tempo. Pensate al Tribunale o, meglio, il cosiddetto Tribunale, il palazzo con la facciata dai mattoni scuri; era un bel palazzo gonzaghesco fatto erigere da Scipione ed ereditato dal fratello Camillo. Si pensi alle scuole nelle quali vi recate tutti i giorni. Quello che un tempo era il Palazzo dei Principi. Qualche traccia del suo passato è rimasta in soffitta e nell’antibagno. Val la pena di salvare la memoria in quanto noi viviamo in un tempo di rapidissimi cambiamenti. Io lo riscontro in maniera esponenziale, ma voi vivrete in un’epoca ancor più rapida e veloce di quella che ho visto io. Ben presto vi sentirete superati. In sostanza: dobbiamo decidere quale avvenire vogliamo. Non possiamo saperlo se non conosciamo il nostro passato. Se sappiamo tracciare la linea per definire il nostro passato possiamo tracciare anche il nostro avvenire, o almeno immaginarlo. La popolazione sta diminuendo. Oggi è stabile solo grazie all’afflusso degli immigrati, sempre più numerosi. Niente contro di loro, neanche a dirlo. Ma si tratta di gente senza il nostro passato, e senza un loro passato così vivo. Spesso portatrice, anche per ragioni contingenti, di un passato disorganizzato e confuso, talvolta ostile verso la nostra identità. Come può diventare, questa, una comunità? Amalgamando, mettendo insieme i pezzi del rispettivo passato. Senza l’idea di comunità, lo Stato non esiste. Ecco, l’idea, recentemente proposta dall’Amministrazione comunale, della pista ciclabile attorno al perimetro di Bozzolo è un modo per far vivere le mura, ed è una soluzione che può piacere anche agli immigrati. Com’era la Bozzolo di Scipione, all’interno delle mura?La città all’interno delle mura rimane qualcosa di cui si sa poco, o non abbastanza. Personalmente, nei libri che ho scritto mi sono occupato di ricostruire il tessuto sociale. Bozzolo era sostanzialmente suddivisa in tre strati sociali molto ben distinti. I patrizi, gli abbienti, erano coloro che controllavano il Comune, corteggiavano il Principe e lo sostituirono quando il principato perse la sua autonomia, per conto dei Principi di Mantova, di Guastalla e del Sacro Romano Impero. Gente che, dalle evidenze, definirei perlopiù arrogante e spocchiosa. Maria Teresa d’Austria, con l’introduzione dei catasti, ha ridotto questi privilegi, anche attraverso i cosiddetti giaròn, i sassi che venivano seppelliti in profondità per tracciare i confini dei campi, e quindi per definire le rispettive proprietà dei possidenti. Quando nel secondo dopoguerra, c’è stato il rinnovo del catasto, i proprietari sono stati convocati per procedete e dissotterrare il sasso. Tornando alla Bozzolo austriaca, gli aristocratici avevano il controllo della società anche e soprattutto attraverso la scuola. A Bozzolo c’era un liceo ed uno dei docenti era Boriani, che vi insegnava latino. Ad un certo punto giunge anche un intellettuale di grande livello come Luigi Romanelli. Viene da Roma, ha un passato poco chiaro, per certi aspetti equivoco, quasi da accattone. Gira l’Italia componendo versi. A Bozzolo seduce l’aristocrazia. E proprio l’aristocrazia gli dà in mano la scuola, che lui trasforma in un liceo italiano, dandole un tratto di modernità e di sperimentalismo. Poi, da filogovernativo diventa napoleonico e scriverà addirittura 77 libretti per la Scala. Tornando alle classi sociali, oltre agli aristocratici, Bozzolo vede all’epoca tanti contadini, uguali a sé stessi fino agli anni Cinquanta e, al giorno d’oggi, affermati imprenditori. Per finire, ci sono gli eredi dei lavoratori piacentini. Fin che Bozzolo è capitale di Principato, questa manovalanza importata viene fatta lavorare con i soldi di altri Comuni. Terminato il Principato, il lavoro cessa e subentra la miseria nera. Ci si arrangia con l’allevamento dei bachi, con la seta di prima filatura. Via Bonoldi è zona di insediamento dei Piacentini. Non appena l’Italia si unifica, molti di essi emigrano, soprattutto in Francia. Al loro ritorno, uno di loro, certo Rebizzi, o Rotelli, apre un’osteria. La intitola Trianon, ispirandosi a Versailles e a Maria Antonietta. C’è un aneddoto legato alla storia di Bozzolo che ritiene particolarmente significativo? Ce ne sono molti, ma rimanendo nel tempo recente, ce n’è uno a mio avviso importante. 1944. Occupazione tedesca, con la guerra ancora in corso. Io mi trovo all’angolo dell’attuale bar Croce Verde e vedo una dimostrazione di donne che vengono via dalla Parigina, giù per via Accorsi, e si dirigono proprio verso di me. Solo donne, con bastoni grossi, al grido di “ghom fàm!”. Una scena impressionante. Giunte a pochi passi da me, hanno girato verso la piazza, puntando a quella che era la Caserma dei Carabinieri, davanti all’ottica Bilao; l’edificio era in quegli anni presidio dei Fascisti e della Guardia Nazionale Repubblicana. Davanti ai portoni, battendo i bastoni contro il portone, rivendicavano la loro fame. Accorsi, che oggi dà il nome alla via da cui erano sbucate, era morto solo qualche mese prima.

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Alice Balzanelli

Lorenzo Mantelli

Leonardo Pietralunga

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