top of page

LA PAROLA INDIFFERENZA

aggressione_3484140-1068x712.jpeg

Lo scorso 3 aprile, alla stazione ferroviaria di Mantova, un episodio di violenza inaudita ha scosso tutti i presenti. Un ragazzo di 27 anni è stato aggredito brutalmente da un gruppo di giovani, probabilmente sotto l’effetto di droghe. A rendere la scena ancora più drammatica è stato il fatto che l’aggressione sia avvenuta in pieno giorno, davanti a numerosi testimoni. L’unico a intervenire è stato un uomo di 41 anni, Fabio Forni, che ha cercato di proteggere la vittima, ma è finito colpito e malmenato a sua volta. Nonostante il suo gesto di coraggio, la furia degli aggressori non si è fermata e i presenti non hanno reagito in modo significativo.La reazione delle persone attorno ha sollevato un acceso dibattito: molti si sono limitati a filmare la scena con i loro smartphone, mentre altri osservavano da lontano senza intervenire. Questo comportamento ha sollevato interrogativi e discussioni sui social e nei media: dove finisce la prudenza e dove inizia l’indifferenza? Cosa avremmo fatto noi al loro posto?È facile criticare chi non è intervenuto. Ma ogni situazione vissuta dal vivo è molto diversa da quella vista attraverso uno schermo. Le emozioni giocano un ruolo cruciale: paura, sorpresa, confusione. Quando ci si trova di fronte a un atto di violenza, il primo istinto può essere quello di proteggersi, di allontanarsi. La paura di essere coinvolti, di subire violenza, è concreta. Nessuno desidera diventare la prossima vittima.Eppure, è proprio nei momenti di crisi che il coraggio delle persone può emergere. Dopo un iniziale smarrimento, ci si aspetterebbe una reazione umana, almeno un tentativo di chiamare aiuto, avvisare le forze dell’ordine o cercare il personale della stazione. In questo caso, anche il semplice gesto di unirsi in più persone per fermare l’aggressione avrebbe potuto fare la differenza. La forza del gruppo può diventare un potente strumento contro la violenza.Ma dobbiamo anche chiederci chi avrebbe dovuto prevenire l’episodio. Dove erano i controllori? Dove erano le guardie o le forze dell’ordine? In una stazione ferroviaria, un luogo sempre affollato e pieno di movimento, ci aspetteremmo di vedere più figure istituzionali. La loro assenza non solo ha permesso che la violenza si svolgesse senza ostacoli, ma ha anche creato un clima di insicurezza palpabile.Questo ci porta a una domanda più grande: è ancora sicuro prendere il treno? Possiamo muoverci liberamente in stazione, specialmente in certi orari e in certe aree? Purtroppo, episodi come questo sembrano aumentare, alimentando la preoccupazione tra i cittadini. È evidente che la responsabilità non può ricadere solo su di noi, né possiamo aspettarci che ogni persona diventi un eroe. Tuttavia, è giusto chiedere allo Stato, alle Ferrovie e alle autorità competenti di impegnarsi di più per garantire la sicurezza pubblica.Il fatto che siamo noi cittadini a pagare le tasse dovrebbe tradursi in un servizio efficiente e in una presenza costante di personale pronto a intervenire. Non possiamo accettare che in luoghi pubblici accadano episodi simili senza una risposta immediata. La stazione dovrebbe essere un luogo di passaggio, non di paura. Questa vicenda ha lasciato un segno profondo. Non solo per la violenza in sé, ma anche per l’indifferenza collettiva che ha circondato la scena. Siamo tutti chiamati a riflettere su cosa significhi davvero vivere in una società civile. Non possiamo rimanere spettatori passivi. La solidarietà, la prontezza nel chiedere aiuto, la scelta di non voltarsi dall’altra parte, sono gesti piccoli ma fondamentali.In conclusione, è vero che ogni situazione ha due lati. Comprendiamo la paura, ma dobbiamo anche ricordare che la società si costruisce attraverso la partecipazione, l’empatia e il coraggio. Ognuno di noi può fare la differenza, anche solo con una telefonata, un grido, un’azione condivisa. Solo così potremo sperare in una società più giusta e più sicura.

​

Ginevra Ravagna

Gabriele Maroli

Massimo Ravagna

​

bottom of page