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MISSIONE GIOIA

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“Amico, basta oramai. Se vuoi leggere ancora, va’ e diventa tu stesso la Scrittura e l’Essenza.” Ecco, sono molteplici i discorsi in cui parliamo di idee che diventano concretezza tramite il mezzo della missione… per capire di più questo aspetto dell’impegno e del dedicare la propria vita per una causa di bene ho deciso di intervistare Padre Vittorio Bongiovanni, missionario in Sierra Leone da 53 anni, solamente che ho pensato di far scaturire la discussione a partire da una sola domanda che ritenevo la più significativa e ampia per dare carta bianca al Padre che è riuscito a trasmettermi la sua esperienza di vita. Cos’è per te la Sierra Leone? Per parlare della mia Sierra Leone voglio partire da un aspetto: la capitale è Freetown, cioè città libera, il paese va capito nel movimento degli schiavi. Quando gli schiavi sono stati dichiarati liberi di tornare nei loro paesi un gruppo di schiavi è tornato in quei luoghi. Il paese si chiama Sierra Leone proprio perché il nome portoghese montagne (sierra) è accostato al nome leone perché le montagne che si vedono dalla costa ricordano questo animale. Gli schiavi liberi nell’attuale capitale hanno piantato un cotone (che ora è maestoso) chiamato “la pianta della libertà”. La nazione è ricca di minerali ma nella lista dei paesi poveri è tra le prime. Era una colonia inglese, gli inglesi hanno portato via tanto, infatti si ha un terreno ricco ma persone povere. La povertà è data anche dalla mancanza di educazione, ed ecco qui che il lavoro di missionario consiste nel costruire principalmente delle scuole. Ora vivo in Italia perché stavo morendo ma mi hanno salvato e pagavo la scuola per 400 bambini. Quando trovavo bambini per strada chiedevo di “darmeli” per portarli a scuola, ho lavorato in Sierra Leone per 53 anni. Adesso i miei studenti sono diventati persone importanti nel paese, alcuni sono giudici professori o medici. Una mia studentessa, molto intelligente, ora è segretaria del presidente. Noi scoraggiamo il più possibile l’immigrazione, noi fermiamo i barconi con la scuola. Il mio lavoro di missionario non è quello di andare a riempire delle bottiglie vuote, ma di stapparne con l’istruzione per tirarne fuori i talenti.

“Guardate che voi sierraleonesi dovete risolvere i problemi del vostro paese per evitare che vengano altri a farlo per voi” ripetiamo ai nostri ragazzi. L’attività di educazione va intesa come metodo per imparare un lavoro. Un esempio, c'erano quattro giovani che volevano fare gli idraulici, noi li abbiamo mandati a Reggio Emilia e loro sono tornati e fanno questo lavoro!Il problema principale è la mancanza di risorse, i giovani hanno voglia di cambiamento, con la scuola si possono risolvere i problemi materiali. Per me la Sierra Leone è un paese che ha senso di vergogna a vedersi fermi e i giovani vogliono venir fuori, se “sfidati”, senza scappare via per risollevare la propria terra. Però, a volte, la povertà blocca tutto ciò: io avevo 47 scuole elementari e 6 scuole medie e vedevo i ragazzi sciupati che non mangiavano niente, addirittura a scuola molte volte si addormentavano perché stanchi; poi abbiamo costruito anche un collegio dove prepariamo maestri per passare il testimone. Addirittura siamo riusciti a realizzare un’università dove ho insegnato cristianesimo e Islam, perché lì siamo tutti uniti. Ad esempio predico con Bibbia e Corano, perché siamo fratelli. Seguiamo le parole di unione di Papa Francesco .Quando parliamo di musulmani, però, c’è da fare delle distinzioni: moderati e radicali. Io lavoro coi moderati. Il nostro principio è l’unione nella diversità rispettando la dignità di ciascuno. Da noi i musulmani radicali arrivano dal nord Nigeria del movimento “la scuola è peccato”. Per definire la Sierra Leone userei: cordialità, del popolo che sa essere amico condizionato, tra guerre sociali (ribelli contro governo, dove mi hanno imprigionato e ho vissuto con loro conoscendoli e ho deciso di tornare con loro per salvare i bambini da fare il soldato) e povertà. In sette mesi di vita coi ribelli ne sono riusciti a liberare 225 su 250, mentre i restanti 25 sono purtroppo morti nella guerra perché la vigliaccheria dei ribelli usava i bambini come arma ed esca. Se dovessi rinascere mi rifarei missionario. Adesso ho preso la tubercolosi, in un mese ho perso 21 chili, aspetto la fine di giugno per finire i controlli e spero di poter tornare. Qui in Italia sto bene ma voglio vivere lì. Ecco un’esperienza che mi ha segnato. Una volta venne un colonnello della Sierra del sud, era una persona che voleva farsi vedere come un “potente”, e mi disse “Uomo bianco vieni qui, vatti a sedere nel sole che ti tiriamo i calci nei reni”. Io mi opposi, lui urló e tiró fuori una pistola che mi mise alla testa ma io continuai a oppormi e lui mi chiese perché non temevo la sua autorità e io risposi che non avevo paura perché sentivo il signore che mi sosteneva. Non ho mai pensato di perdere la mia vita, o almeno, ci sono state situazioni pericolose che io ho però preso come sfide perché i ribelli quando ti vedono insicuro ti attaccano. E a quel punto ti ammirano. Quando hanno firmato il patto di fine guerra civile mi hanno chiamato per aiutare al raggiungimento della giustizia, facevo da mediatore e cercavo di convogliare i bisogni di tutti. Per esempio nel ‘33 la Sierra Leone esportava riso ovunque, ora no, quindi c’è bisogno di spendere le risorse in campagna. Secondo me i ribelli mi ascoltavano. Una volta però dei ribelli arrabbiati con me senza motivo mi volevano uccidere ma un altro iniziò a difendermi. Per questo penso che la mia figura di missionario venga vista con amicizia. Per esempio la settimana scorsa hanno fatto una festa per i 65 anni di missionari in Sierra Leone e mi hanno dedicato un discorso di due pagine e mezzo dove vi è scritto tutto quello che ho fatto. A giugno mi diranno se posso tornare o se devo fare il passaporto per l’Italia. La Sierra Leone è chiamata “la tomba dell’uomo bianco” per la scarsa igiene. Una volta mi dissero che dovevo prepararmi a morire per la tubercolosi, anche se sono ancora qui. Se dovessi dare un messaggio ai miei ragazzi vorrei dirgli che li penso, addirittura li sogno. La felicità in Sierra Leone è nei bambini, che sono sorridenti, e vederli in guerra senza sorriso fa provare sofferenza. Pensate che mi hanno promosso capo villaggio (il mio titolo è pa alimamy sanda 1).La vita da missionario è fondata sul farsi contagiare dal sorriso dei bambini, l’essere gioiosi perché in mezzo a loro; fare le scuole non è un lavoro d’affanno, una cosa gioiosa e calma. Un aspetto culturale che mi ha colpito riguarda la condizione della donna. Con le scuole facciamo in modo di cambiare la loro situazione. Il corano dice che l’uomo è superiore alla donna e noi ci stiamo impegnando ad abbattere questo pregiudizio. Secondo me il dialogo interreligioso dovrebbe essere come quello nei miei villaggi, abbiamo un consiglio dove sono dentro e ci rispettiamo. Pensa vedere in chiesa dei mussulmani che entrano liberamente…. Ecco, succede. Il mercoledì ho il raduno dei bambini, la maggioranza sono mussulmani anche se stiamo in chiesa. Ad esempio quando sono arrivate le palline da tennis da Bozzolo c’è stato un chiacchiericcio di bene collettivo. Se sei un giocatore sei il benvenuto. Un altro nostro principio è di non guardare i pregiudizi, andiamo oltre, sei umano quindi hai la stessa dignità. Ad esempio abbiamo maestri mussulmani e anche loro recitano il padre nostro. I mussulmani scoprono una cultura (quella cattolica) mentre i cristiani vivono ciò come una parte di vita. Durante la mia esperienza ho fatto tantissimi battesimi, principalmente mussulmani che diventano cristiani; le famiglie non vogliono un figlio come loro nella religione ma vogliono un figlio che preghi e si affidi a qualcuno. Secondo me il dialogo tra religioni alza la fede, noi non siamo “light”, noi vogliamo cristiani che lo siano completamente perché devono sentire il bisogno di essere cristiani in mezzo a chi non è come loro. Almeno più di 10 ragazzi sono voluti diventare sacerdoti o missionari e io provo una gioia immensa a vedere questa eredità. Poi è anche importante lo sforzo di vedere gli aspetti positivi nelle cose, una volta c’erano quattro ribelli che mangiavano del cibo scarso… io mi sono messo con loro e ho assaggiato nonostante il loro lamento. A quel punto, solo dopo aver visto che un “uomo bianco” ritenuto superiore si abbassasse al loro livello di povertà, sono esplosi in una gioia immensa. Il rapporto con i bianchi è molto particolare, cercano di svalutare se stessi perché neri e da secoli sottomessi, loro amano far vedere che siamo uguali. La cosa peggiore che si può fare oggi ad un africano è umiliarlo, quando sentono l’uguaglianza nelle idee che diventa concreta sono felici. Ad esempio, ero dal dentista, il dottore mi ha visto e mi ha chiesto di non fare la fila… io dissi che il dolore lo provavamo tutti e che avrei aspettato. Soffro nel vedere persone che migrano e non vogliono lavorare o studiare. Se vengono per essere parte attiva di una famiglia mondiale sono i benvenuti, la cosa triste è che hanno visto un “film” sull’Italia come un porto di ricchezza anche se non sanno che si deve lavorare. Per me la fatica è mancanza di visione di vita, secondo me invece l’impegno è un senso di vita che porta a riuscire e sentirsi amato. Se noti non ti ho detto niente sulla situazione politica è perché è delicata: dove non c’è sviluppo c’è dittatura. Recentemente hanno arrestato un prete diocesano perché accusato ingiustamente di essere immischiato con traffichi ingiusti. Noi missionari evitiamo di fare commenti sulla situazione politica e sociale. Nei villaggi piccoli la chiesa se la devono costruire loro (capanne di mattoni di terra), nelle cittadine interveniamo noi. Io non ne ho mai costruite, ma ho organizzato la costruzione di 14 chiese, le hanno fatte i cittadini perché voglio che sentano il bisogno di avere quel luogo di culto. L’idea della perfezione è un valore ottenuto in modo comune che riescono a pensare alle conseguenze future delle loro azioni. La grinta me la danno i cittadini, perché viene spontaneo pianificare insieme a loro. Per diventare missionario ho fatto 30 anni di scuola; una parte del mio lavoro oggi è creare catechesi per immagini perché non sanno leggere.I locali ci tengono ai fascicoli che produco, li spiegano a cascata in “krio” la loro lingua. Io adatto le immagini alla cultura locale, i ragazzi non vedono l’ora di scoprire… ed io mi sento ringraziato in continuazione, molte volte non mi immagino tutte queste cose. Alcune figure di riferimento sono state per esempio mio zio, fratello di mamma, che era missionario. Parte della mia vita è basata sull’intrecciare i cristiani e i mussulmani… mi diverto a fare ciò. Per eventi attuali come il giubileo integriamo la nostra catechesi! L’esperienza da missionario mi ha dato il senso della gioia e della vita. In merito all’attualità penso alla guerra a Gaza e soffro perché io baso la mia vita sul dialogo che qui manca. Rimanendo in terra bozzolese penso subito a don Mazzolari. Aveva organizzato un ritiro per chierichetti ed io avevo partecipato. Chiese se qualcuno avesse voluto diventare sacerdote e io risposi di sì, ne sono sempre stato convinto. Secondo me il rapporto tra uomo e creato dovrebbe essere basato sul rispetto, cosa che manca in Sierra Leone dove non c’è pulizia e mancano risorse vitali come l’acqua. Infatti la prima volta che sono arrivato ho visto la povertà, anche se da subito capii che lì il signore mi aspettava… e ad oggi, dopo 53 anni, sono pronto a tornare! Grazie infinite Padre per il tempo che mi hai dedicato e per le risposte esaustive con le quali sei riuscito a “consegnarmi” nella completezza la tua storia e i tuoi valori! 

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Alessandro Micheloni

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