RECUPERATE L'ANIMA MIA

Torino, 22 aprile 1945
Le parole che ho bloccate tra la gola e la bocca, che non riescono proprio a uscire, sono talmente tante da non esistere proprio. Non esiste alcun termine che possa descrivere la mia condizione. Dante scriverebbe uno dei versi più forti della sua Commedia, nella cantica dell’inferno, se potesse passare qui in questo esatto momento congelato nel tempo, come un sigillo indissolubile di perdita completa di vita e dignità dell’intera umanità. Dove sono? Non lo so, o almeno, so di essere nei bunker del rifugio nazista a Torino di Villa Rey, ma la mia anima è persa e penso che neanche io possa più trovarla. L’altro giorno mi hanno preso e catturato, ero il capo della Brigata Verdi nell’unità piemontese, una delle più complicate, anche se la liberazione sembrava quasi arrivata. Stavamo per entrare in città per riprenderci i nostri luoghi del cuore, eravamo tutti torinesi, quando due truppe tedesche arrivarono e ci presero. La salvezza sembrava già nelle nostre mani, finalmente avremmo potuto gettare a terra i fucili, ma, evidentemente, era destino che le cose andassero diversamente. Gli altri li fucilarono istantaneamente, io invece subii un processo militare nazista che, più che tale, sembrava una farsa per nascondere quello che era per me un assaggio del mio funerale. Poi, mi hanno condotto in una stanza buia ed angusta e lì ho trascorso la mia (ultima) notte; la mattina, invece, ho consumato il mio ultimo pasto (un pezzo di pane vecchio e secco, privo di tutto, come il mio umore d’altronde).Perché devo morire? La libertà non è un valore universale e che tutti vorrebbero? Alla fine tutta la massa popolare contadina che abitava ai margini della città, nelle campagne, ci ha accolto con festeggiamenti di tanta gioia quanto quelli con cui, prima della guerra, si festeggiava la domenica di Pasqua o la festa del Natale.
Ripensandoci, ne sono certo, i tedeschi vedono il nostro arrivo come un inesorabile fine ma che cercano di posticipare pensando di evitarla. Tutto avrà una fine, l’arte del posticipare, cercare di raccogliere qualche giorno in più, è una delle più ignobili cose che si possa fare: ecco quello che penso. Ora sono qui, questa dovrebbe essere una lettera di confessione di colpe che mi è stata permessa di scrivere per i miei famigliari prima di morire, in teoria non verrà controllata dal regime in quanto questo “diritto” mi è stato dato solo perché non ho opposto resistenza all’arresto forzato. Mi sento come un fiore selvaggio e delicato, che non può vivere sotto il peso della pioggia: alla fine un papavero perde i petali se una bufera gli si abbatte contro. Penso mi fucileranno, ma un solo invito, anzi, un obbligo voglio comandarvi: diventiate le gambe vive e concrete che portano avanti i miei ideali e il sacrificio di tutti i partigiani come me. Sento che la mia morte sia un messaggio provvidenziale, spero di diventare storia, simbolo concreto di una resistenza per costruire una società futura che basi la propria vita sui passi della democrazia e sulla strada dell’onestà. Ora vado a scontare il mio destino, quello di uomo che, spero, sia stato abbastanza combattivo per scatenare un cambiamento. Saluti, siete e sarete sempre la luce dei miei occhi, forse questo sarà l’unico motivo per cui i miei occhi saranno ancora accesi di fronte al plotone che mi ucciderà. Non piangete e non cercate il mio corpo, ma impegnatevi a recuperare i pezzi della mia anima e della nostra Italia.
Baci infiniti e di oblativo valore. Il vostro da sempre e per sempre
Marco Rossi
Micheloni Alessandro