IL RICORDO SPEZZATO

“Ritorno a casa: vestiti, libri, fiori tra le macerie”.
Un titolo che evoca un’intera gamma di emozioni: speranza, dolore, nostalgia. Un viaggio interiore e fisico che si intreccia con la volontà di ricominciare. In questo contesto, la casa non è solo un luogo fisico, ma un simbolo di identità, radici e resistenza. Ogni oggetto ritrovato tra le rovine – un vestito, un libro, un fiore – racconta una storia. Ogni cosa custodisce ricordi, sogni spezzati, frammenti di un passato che la guerra ha cercato di cancellare. Il desiderio di tornare a casa, in un contesto buio e drammatico come quello vissuto dalla popolazione di Gaza, è intriso di sentimenti profondi: la nostalgia, la speranza, la lotta per ricostruire non solo muri, ma anche vite. Per Aya e la sua famiglia, questo ritorno non è stato semplice. Smarrita tra le macerie, è catturata dai petali gialli di un fiore sbocciato nella polvere: un segno di vita ostinata, di bellezza che resiste. Ma ciò che per la natura è istinto, per gli esseri umani è fatica, paura, trauma. Aya cammina con gli occhi pesanti, il cuore gravato da ogni passo. Ogni pietra, ogni frammento di muro, è un ricordo spezzato, una pagina strappata della sua quotidianità perduta. L’eco di esplosioni lontane risuona ancora, come un monito costante, un promemoria della brutalità che ha distrutto il suo mondo. Nel silenzio, cammina in cerca di una risposta. Ma sa che nessuno guarda veramente alla sua condizione. Non lo fanno i potenti, non lo fa nemmeno Hamas. Eppure, il suo coraggio, quello di tornare lì dove tutto è cominciato, nel luogo della sua vecchia dimora, è un gesto di resistenza. Un esempio per una società che, di fronte al dolore, spesso si arrende. L’anima di Gaza è in macerie. Ma anche tra quelle rovine, qualcosa ancora respira. Aya non cerca vendetta. Cerca dignità. Cerca il diritto di piangere senza sentirsi debole, di ricordare senza essere accusata, di vivere senza dover chiedere il permesso. La sua figura tra le macerie è il ritratto di un’umanità ferita ma non vinta, che si aggrappa alla memoria come unico atto di resistenza possibile. Tra i muri crollati, tra i vetri infranti, tra le stanze che un tempo contenevano risate e profumi di cucina, Aya cerca un senso. Ogni dettaglio, anche il più banale, ha un valore nuovo: una tazza intatta, una fotografia impolverata, un quaderno ancora aperto a metà. Tutto racconta che lì c’era vita, sogni, amore. E che tutto questo merita di essere ricordato, non sepolto. La guerra spoglia le persone di ciò che le rende umane: sicurezza, calore, continuità. Ma ciò che non riesce a distruggere, è la volontà di continuare a cercare luce. Aya, come molti altri, cammina tra le rovine ma non si piega. Dentro di sé custodisce una fiamma fragile ma viva: quella della speranza. Riflettere su Gaza, su Aya, significa interrogarci su cosa significhi davvero “casa”. Non è solo un tetto, ma un intreccio di relazioni, di ricordi, di identità. Quando una casa viene distrutta, viene colpito anche tutto ciò che tiene insieme l’essere umano. Eppure, c’è chi raccoglie i pezzi, li stringe a sé e continua.In un mondo spesso distratto, anestetizzato, il ritorno di Aya tra le macerie ci obbliga a guardare. A non voltare lo sguardo. Ci ricorda che la sofferenza non è un titolo di passaggio, ma una realtà viva. E che la ricostruzione, morale prima ancora che materiale, comincia da chi ha il coraggio di tornare, di ricordare, di amare nonostante tutto. Il futuro di Gaza è incerto. Ma finché ci saranno occhi che cercano fiori nella polvere, mani che raccolgono libri tra le rovine, voci che raccontano storie di resistenza, allora ci sarà ancora spazio per la speranza. Aya cammina, e con ogni passo afferma che la vita, anche in mezzo alla distruzione, può ancora trovare la forza di fiorire.
Saccenti Marco
Tuhduri Sasha