NEL SALOTTO DELLA STORIA

Una vita ha mai una fine? Per capirlo vi do il benvenuto nel salotto della Rivoluzione francese. Penso che questa frase basti per racchiudere l’incredibile lavoro di Umberto Giordano nella realizzazione dell’opera “Andrea Chenier”, in quanto tutta l’opera è la somma perfettamente calcolata di tanti meccanismi a catena pronti ad esplodere ma che aspettano il momento giusto per detonare: ma questo “via” non arriva, o almeno, quello vero non arriva ma lo scemare della dimensione morale umana portato dall’estremizzazione di tutti quei valori imbracciati dalla rivoluzione iniziata con la presa del carcere politico della Bastiglia porta a vedere i lati più profondi di tutti i protagonisti, ed è lì che tutto sembra nascere ma anche morire. Dal nobile salotto che ci viene mostrato all’inizio alla ghigliottina finale veniamo catapultati in una piega della storia che non trova parole esatte sui libri, perché rilegata alla penna, al pennello o alla bocca di chi quei tempi gli ha vissuti e può testimoniare con atti e creando solchi talmente tanto indelebili che le conseguenze lasciate non sono degne di qualunque osannazione ma necessitano solamente di un religioso silenzio che porti al suo interno una vera comprensione del nostro passato e che trovi finalmente risposta ai dubbi che esso ci lascia. Quindi si, Andrea Chénier non è un delicato un delicato solfeggio delle note dell’amore, ma è un un pugno secco che arriva delicatamente dalla mano del protagonista, proprio il poeta Chénier, e che incarna la quintessenza del vero amore come sinonimo eterno di sacrificio per tutto quello che è stato sale della propria esistenza.“Tu sei la meta dell'esistenza mia”, sono queste alcune delle ultime parole di Andrea alla sua amata Maddalena prima di finire sul patibolo della furia dittatoriale del Terrore francese, un salto che supera le barriere umane delineando la sacralità della morte come dono per ottenere un amore eterno che passa di bocca in bocca, ma non come sterile pettegolezzo, bensì l’amore di cui si parla è qualcosa ancora di più nobile e alto: è quel gioco per il quale si scommette tutto, è quella svolta dalla desolazione rancorosa alla ricerca sfrenata diventando missionari in aiuto di sé stessi in virtù delle proprie emozioni. Per questo la mente geniale di Umberto Giordano diventa, durante tutto il racconto dove viviamo col fiato sospeso in un velo d’ansia che ci offusca la vista ma vestiti di un abito di felicità, ponte tra tutte quelle sfide quotidiane che viviamo. Un’opera così, infatti, scardina i concetti prettamente temporali preferendo una chiave dimensionale della piccolezza umana vista dal punto di vista del grande giudice: la storia; si potrebbe dire che tra i magnifici posti di ogni teatro dove si assista a questa rappresentazione a fianco a tutti gli spettatori ci sia proprio lei pronta a dare torto e ragione, santificare o demonizzare. In questa prospettiva di lettura l’esibizione non è più ambientata in piazze, salotti o palazzi, ma in un'enorme grotta da un’acustica talmente forte da far risuonare le odi alla vita di Andrea in eterno, tanto imponente da far soffrire in continuazione chi come Fouquier-Tinville recrimina mascherare il dolore interiore per poi pentirsi ma soprattutto tanto maestoso da rendere vento di freschezza primordiale la bellezza dell’amore che Maddalena incarna nella completezza quando decide di prendere con sé la croce della ghigliottina in un vero e proprio martirio di cuore. Per questo possiamo anche dire che Andrea Chénier non è solo uno spaccato storico, ma è uno specchio che ci deve portare a riflettere e a riconoscere quanto l’amore vero non sia degnamente rappresentato dai cioccolatini o da un bouquet di fiori, ma dall’atto epocale di rinunciare alla propria persona in assenza della metà che completa l'intricato puzzle della mente umana con la giusta chiave per risolvere un mosaico finale di una bellezza eterna. I modi di attualizzare il tutto sono moltissimi, le divisioni create dall’esasperazione dei due poli dell'umanità (ego e sentimenti) che nascono da situazioni quali conflitti o assetto sociale generano solamente la demolizione apparente di legami ed emozioni per preferire destini già scritti, anche se l’eco delle pieghe della storia ,se ascoltato, non può che far nascere nuove pagine di gloriosi risultati costruiti sul sacrificio di altri.
Quindi si, tornando a casa da Andrea Chénier, si può dire che la vita non finisce mai, ma passa di persona in persona.
(credits Roberto Ricci)
Alessandro Micheloni