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INTERVISTA IMPOSSIBILE AD HANNAH ARENDT
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Oggi ci è venuto a trovare il … fantasma di Hannah Arendt (1906-1975). Parliamo di disobbedienza sociale, della banalità del male e del totalitarismo. Ebrea, nacque nei pressi di Hannover. Tra il 1924 e il 1929 frequentò l’Università di Marburgo, dove fu allieva del filosofo Heidegger, con il quale ebbe anche una relazione sentimentale. Fu arrestata nel 1933, ma fuggì a Praga, poi a Ginevra, a Parigi e, infine, nel 1941, a New York.
Buon giorno Signora Arendt. È la prima volta che mi trovo ad intervistare qualcuno che non c’è (più).Non credo sia davvero la prima volta: avrà pur letto un libro o due in vita sua – cos’è la lettura se non un’intervista a persone assenti?
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Sì, mi è capitato. Ma non è la stessa cosa: i testi non ascoltano le mie domande e non possono rispondere.Al contrario: i testi ascoltano le domande, le domande vere, e rispondono sempre se messi a loro agio.
Lei come legge?
In che senso, mi perdoni? Nell’unico senso possibile!
Come legge? Ad alta voce o in silenzio? Dall’inizio o dalla fine? Da solo o in compagnia?
Leggo in silenzio, da solo. Dall’inizio, naturalmente.
Legge in silenzio e poi si lamenta dei testi che non rispondono? Provi a dar loro voce, ogni tanto. Non si annoia, poi, a partire sempre dall’inizio?
Forse non si annoierà lei, ma di certo ne soffriranno i libri. Scommetto che non ha mai saltato una pagina e che ha paura di andare avanti quando non capisce un periodo; me li immagino, quei poveri lunghi periodi incompresi, condannati ad essere ripetuti e riletti ancora e ancora, in silenzio, per un ignobile eccesso di cautela o pedanteria, fino a perdere ogni traccia di significato e rimanere poco più che scheletri di un discorso, sepolti poco dopo, con tutte le loro subordinate, in qualche profondo abisso della sua fragile memoria! Legge da solo, per di più!
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Se a suo avviso nessuno è in grado di sopportare una lettura o una discussione in sua compagnia allora potrebbe – è solo un suggerimento – provare davvero a leggere “fra sé e sé” oppure a fingere di parlare con qualcuno, che è poi quasi la stessa cosa. Potrebbe fingere di parlare con l’autore!
Credo mi limiterò ad iniziare dalla fine, per oggi. Un passo alla volta. Siamo già alla fine, ma naturalmente non se ne è accorto.
Nel suo “Le Origini del Totalitarismo” descrive l’evento totalitario come una “singolarità”; più di dieci anni dopo, di fronte ad Eichmann processato a Gerusalemme, afferma, invece, con forza, la “banalità” del male. Eichmann le ha fatto cambiare idea?
Non riscontro contraddizioni, ma solo un approfondimento. La Storia non era mai entrata in contatto con qualcosa di così difficile da raccontare: ecco in cosa consiste la singolarità. Hitler non è peggiore di tutti gli altri grandi criminali e sterminatori dei quali la storia del mondo è cosparsa. Ad essere inaudito non è il genocidio in sé: è il metodo ad essere radicalmente nuovo. La tecnicizzazione, la meccanizzazione della morte. Eichmann è un burocrate, si è occupato dell’organizzazione logistica dello sterminio. Un uomo medio spinto dalla banale necessità, non un demone mosso da chissà quale profonda energia infernale – e questo, se permette, è molto più inquietante.
Cos’è dunque il male per lei? Quanto è profondo?
Il male è assenza di pensiero e profondità; il pensiero è il dialogo interiore con sé stessi. Il male sfida il pensiero perché questo pretende di andare nel profondo delle questioni, tenta di scovare le radici delle cose, e nello stesso momento in cui si interessa al male è frustrato.
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È frustrato perché in fondo non c’è nulla?
Esattamente. Non c’è nulla. Il male è come un fungo – può ricoprire la superficie del mondo umano fino a consumarlo, mai è però realmente profondo e radicato. Solo il bene può essere radicale. Sarà pure superficiale, però il male è ben organizzato.
Nella nostra cultura non riusciamo a pensare al paradiso, per il momento, se non come una variante particolarmente luminosa del nulla”.
Non posso che essere d’accordo. Il male si organizza e lo fa sempre meglio perché usa strumenti sempre più precisi; è molto difficile organizzare il bene, proprio perché il bene è molto più profondo e si mette continuamente in discussione. Il male si manifesta quando si smette di pensare. Il male, non appartenendo alle virtù, non può essere pensato. Di conseguenza, il male consiste nel rifiuto della facoltà di pensiero.
Ciò significa che ognuno di noi ha la responsabilità di pensare. Perché lei sostiene che Eichmann non si senta criminale?
Eichmann non si sente colpevole perché si vede come cittadino che rispetta la legge. Sotto il regime nazista di massa, l'individuo perde i suoi tratti caratteristici, la sua identità, omologandosi ad un ideale imposto dall'alto. Per rispettare l'ideale, i membri della società nazista eseguono qualsiasi ordine e la non moralità delle azioni viene giustificata dal fatto che si doveva realizzare l'ideale in cui credevano.
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Ma se un individuo è un essere pensante, come può accettare ciecamente un’ideologia?
L'individuo mette in relazione ogni pensiero con la sua moralità: se la rispetta, lo trasforma in azione, mentre se non la rispetta lo lascia perdere. Tuttavia, l'individuo può essere influenzato da una condizione che potremmo definire di "alienazione". Esso, infatti, più si omologa alla società e più rinuncia alla sua morale personale per accettarne una condivisa dalla società. E, nel caso della Germania nazista, sappiamo bene quale era la morale ideologica…
Ne La banalità del male ha analizzato i modi in cui la facoltà di pensare può evitare le azioni malvagie. Prendiamo, ad esempio, le atrocità dei nazisti, nella fattispecie quelle del tenente colonnello che al processo del 1962, in Israele, tentò di difendersi con una laconica espressione: disse che, in fondo, lui si era occupato soltanto di trasporto, coordinatore dei trasporti degli ebrei verso i campi di concentramento e di sterminio. Non vi è dubbio alcuno che quelle azioni furono mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso. Insomma, un uomo comune, incapace di pensare sotto la pressione degli ordini superiori. Dunque, Signora Arendt, la salutiamo ripetendo alcune delle sue frasi più pregnanti:- pensare è dialogare con se stessi, cioè porsi di fronte alla scelta fra il giusto e l’ingiusto, il bello e il brutto; - chi pensa, si dissocia, si allontana.
Esattamente, il pensiero è l’unico antidoto contro la massificazione e il conformismo che sono le forme moderne della barbarie.
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Classe V. Scuola primaria di Rivarolo Mantovano
