L'OSPITE
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La “Buonanotte” di Massimo Gramellini racconta la storia agghiacciante di Mahmoud, un bambino che ha perso le braccia a seguito di un bombardamento in Palestina. Questo racconto, quasi come fosse una lettera diretta a tutti e a nessuno, narra la vita di questo bambino da un'angolazione insolita, senza nessun filtro politico. Si tratta di vivere la storia di Mahmoud dalla sua stessa prospettiva, senza filtrare il dolore scomodo per noi spettatori, che la guerra la viviamo attraverso degli schermi. Ma in questo caso non bastano, poiché le parole di Massimo Gramellini ci raggiungono. Questa storia, narrata in prima persona, ci porta a compiere una scelta: vogliamo ascoltare davvero le parole di questo bambino, ospitando il suo dolore all’interno della nostra vita e convivendo con esso? O vogliamo evitare qualsiasi tipo di ospite scomodo, che non fa parte della nostra realtà, ormai lontana da quella raccontata sui giornali? In molti sceglieranno la seconda opzione. Ma chi decide di ascoltare veramente questa storia, lo sentirà, molto lievemente, ma lo sentirà, il dolore di quelle braccia amputate senza anestesia, di quello sguardo che ha smesso di sognare, rivolto verso il basso, come un uccellino in primavera privo di ali, che ha smesso di cinguettare. Nella stanza in cui ospiteremo questo dolore non ci sarà nulla, solo un silenzio straziante.
Immagina la scena: tu e questo bambino, in una stanza con una luce soffusa. Il suo sguardo è perso, ha smesso di chiedere aiuto a te, che hai spento la televisione quando arrivano le “brutte notizie”. Si tratta di un incontro che non ha fine, poiché guarderai questo bambino e penserai: "mi dispiace", ma allo stesso tempo dirai: "non è colpa mia, è colpa loro." E lui risponderà: "Loro chi? Di chi è la colpa se non ho più le braccia per abbracciare la mia mamma?" Vorrai uscire dalla stanza che si fa sempre più stretta, e lui ti guarderà negli occhi e ti dirà che non ti odia.
Lui non odia nessuno.
Suo padre gli ha insegnato ad essere paziente, ad amare il prossimo, l’ospite. Nonostante lo sguardo perso e le ali spezzate, questo bambino spera che la stessa scienza che l'ha privato degli abbracci possa curarlo, dargli delle protesi, delle braccia con cui poter amare, ancora una volta. Le sue braccia saranno fredde, come quelle notti passate a cercare il cibo. Fredde come gli sguardi dei soldati che hanno perso da tempo la capacità di amare, poiché non c’è bandiera che giustifichi l’uccidere bambini in cerca di farina con dei droni.
Lui ti dirà che sogna di essere un pilota. Ma non uno di quelli che l'ha ucciso: uno di quelli che portano tanto cibo e speranza alle famiglie palestinesi. E guiderà quel mezzo con le sue braccia fredde, metalliche. Le lacrime le ha finite, le urla di dolore non ci hanno raggiunto. A noi non resta che questa foto sua, e la stanza senza spazio né tempo per confrontarci con lui. Anzi, con loro, i migliaia di bambini che hanno vissuto la sua stessa storia, ma hanno avuto un finale diverso dal suo. A loro è rimasta solo la terra. Ha ascoltato il loro dolore, e ora ospita i loro corpi, attendendo un ritorno, per chi ci crede, a Dio, in un luogo dove si potrà giocare e sorridere ancora, per sempre. Per la stanza in cui tu ospiterai gli sguardi e i silenzi lontani, non ci sono chiavi. Bisogna conviverci, per poter vivere pienamente consapevoli di quanto accade. Con il tempo si aggiungeranno altri personaggi, a loro volta silenziosi, proprio come Mahmoud, poiché chi ha sofferto così tanto ha finito le parole. Ospita il dolore. Una vita rosea, filtrata, non è altro che un’illusione. Sii casa, per chi non ha nemmeno più un corpo da abitare.
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Sohaib Nasr Allah
