POSTI VUOTI
Come viviamo la velocità? Sotto scacco o in una dimensione di stallo nei suoi confronti? Queste non sono solo parole ma sono una vera e propria firma di cui il nostro presente potrebbe “vantarsi”. Un senso di sfrenatezza ci rende infatti consapevoli di uno stato di tempo personale finito ma al contempo ci fa sentire abitanti di un altrettanto stato di attesa dove il tempo si congela in un’eternità col retrogusto di “fiato sul collo”, di una fine che sentiamo sempre più vicina. Ne sono piena prova il modo assillante con cui ci perdiamo in ogni dettaglio che si cela dietro a incontri tra leader che sono chiamati, direttamente o indirettamente, dal popolo a decidere le regole del grande scacchiere in cui ci stiamo dando scacco matto da soli; dobbiamo decidere se ricadere in uno stallo o se dare la vittoria, arrendendosi, alle forze del male che noi stessi abbiamo generato dal seme delle irrealizzabili volontà dell’uomo. Lo so, può sembrare un countdown all’apocalisse ma, come ci ha ricordato il neoeletto Papa Leone 14esimo nel suo primo discorso dal balcone di San Pietro, “Camminiamo insieme: il male non prevarrà”. Sta a noi quindi decidere se occupare o meno i posti vuoti che attualmente troviamo nel tavolo della fratellanza e che marcano assenze piene di un’essenza di bisogni accumulati in un monito comune di disperato bisogno di pace. Questi sono commenti che, nel giro di pochi mesi, analizzano i due principali posti vuoti riempiti da leader internazionali: Trump e Zelenski, prima nello Studio Ovale poi in Vaticano per le esequie di Papa Francesco.
“Scontro tra Volodymyr Zelensky e Donald Trump alla Casa Bianca, durante l'incontro in cui avrebbero dovuto firmare l'accordo sullo sfruttamento delle terre rare dell'Ucraina e discutere un accordo di pace con la Russia. Zelensky, poche ore dopo, intervistato da Fox News ha detto: «Non mi devo scusare di nulla, ho chiesto solo garanzia». E stamane, Mario Rubio, segretario di Stato americano ha sottolineato: «Zelensky ci ha fatto solo perdere tempo».” La Stampa
Un gioco di "favori" e debiti veramente agghiacciante e al limite della follia. Da una parte un Trump che, come sempre, crea castelli sulla sua personalità megalomane e che non vuole guardare al futuro preferendo soluzioni che guardino al suo tornaconto stratega. Dall’altra un Zelensky, vittima ancora una volta della ferocia di Stati e persone più grandi di lui, ma che cerca, inutilmente, di smontare l’egocentrismo tipico del pensiero trumpiano con la pena della sofferenza dell'Ucraina. Per una discussione alimentata potremmo partire da questa definizione: diplomazia, tatto, finezza, abilità nel trattare questioni delicate o nel mantenere rapporti con persone suscettibili. Cos’è questa se non una guerra? Alla fine lottiamo con la perseveranza nel dover e voler mantenere equilibri stabili quando siamo i primi a liberare la furia suprematista, il nostro piccolo lupo, che risiede dentro tutti noi quando possibile…
“Assediati dalla vasta penombra, sorvegliati dalle incombenti architetture che fanno sembrare piccoli i cosiddetti “grandi”, tra la Porta Santa e la Pietà di Michelangelo il presidente ucraino e quello americano finalmente si ritrovano. L’uno sporto di fronte all’altro, senza interpreti né consiglieri. Per quindici minuti non sono più Trump e Zelensky, ma Donald e Volodymyr.”
Avvenire
Davanti ad una foto talmente tanto inusuale da sembrare per noi "normale" non posso che riflettere su dei cambiamenti: da una parte, il consenso di Trump crollato dopo le scelte in merito ai dazi e ai tagli sulla cultura, dall'altra Zelensky pronto, finalmente, con una controproposta a quella russa e americana. Sicuramente il clima di lutto del luogo crea un velo comune di serietà, ma il linguaggio che questi due protagonisti ci trasmettono oltre le parole, che non sapremo mai, fa capire il rapporto che al momento del "colloquio" vige tra i due. Per capirlo basta confrontare gli scatti presi durante durante l'incontro avuto alla Casa Bianca, un vero dominio e bullismo a livelli elementari nei confronti del presidente ucraino, che hanno segnato una netta separazione tra queste due nazioni. Questa volta, invece, è come se intravediamo una terza figura (non Macron "scartato" in ultimo), proprio Francesco: infatti per la prima volta vediamo entrambe le parti interessate ad un ascolto reciproco come a cercare di redimere a se stessi gli errori comunicativi e le scelte sbagliate prese in passato.Tutto sommato è come se fosse stata una partita di calcio tra due squadre che giocano in campo neutro, "il più bell'ufficio che abbia mai visto, come dichiara Trump parlando della Basilica di San Pietro. Ambo i governi parlano di "un incontro positivo e molto produttivo", alla fine lo possiamo vedere anche noi: per tutto il breve "faccia a faccia", senza interpreti o altre figure simbolo di volontà nel vedersi e discutere, non ci sono dettagli che possono far pensare a mancanze di rispetto e sembra quasi esserci un qualcosa, o qualcuno, che parlando alle coscienze dei presidenti cerca di calmarsi e insegnare loro la capacità di considerare anche l'altro. Che possa essere questo, nella giornata in cui Roma è stata al centro del mondo, il primo miracolo di Papa Francesco (e ovviamente non parlo solo della dimensione religiosa)?
Alessandro Micheloni
