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MIA MOGLIE, LA PATRIA

Frecce Tricolori 2 giugno 2023 (foto twitter Aeronautica Militare).jpg

Ci si può sposare con una nazione? Nella bufera di domande che mi pongo questa prevale tra le altre: come si può unirsi in matrimonio col proprio Paese? Per rispondere a ciò parto considerando due aspetti: cos’è una Patria e cos’è un unione di tale importanza. Innanzitutto, per capire il significato di questo termine, dobbiamo partire dalla sua etimologia; dalla parola lo possiamo già capire, la patria è il territorio natìo di una persona o lo Stato dove un popolo vive e ci si sente strettamente legato per una ragione viscerale di gratitudine reciproca tra terra e popolo. Paradossalmente, questa è già un’unione con il proprio Paese, è come se andassi a stipulare un patto di merito e onore reciproco, quindi, sentirsi cittadini con una coscienza democratica di riconoscimento nei confronti delle proprie origini è il primo passo per accrescere la propria personalità in quanto si vede in quel determinato luogo un’opportunità di futuro. D’altronde, questo lo dice anche uno dei più importanti documenti, la Dichiarazione universale dei Diritti umani, all’articolo 29: “Ogni individuo ha dei doveri verso la comunità, nella quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità”, una vera e propria relazione fondata su garanzie e impegni per il perfetto sviluppo della società.A questo punto la risposta più scontata è proprio quella che, dedicando la propria vita ad adempiere completamente all’alleanza tra Stato e singolo, ci si sposi con esso in quanto risulta naturale e moralmente giusto farlo per i motivi appena citati. Il problema, però, è quando l’accordo di sentimento e, perché no, anche amore verso i propri luoghi diventa una vera e propria assunzione sociale di soli doveri dove essi stessi si trasformano in debiti e pesi che governi e poteri centrali dispotici creano per schiacciare i cittadini privi di qualunque libertà.“Date oro alla Patria”, questa è una delle tanti frasi che circolavano con pesante frequenza all’interno della società Italiana durante il ventennio fascista, il quale si organizzava per delle raccolte di beni (principalmente oro) per poter ricavare denaro in modo tale da pagare i costi e le sanzioni ricevute ai danni del regime per la guerra volta a occupare l’Etiopia. Le prime a donare furono l’enigmatica Donna Rachele, moglie del Duce, la Regina consorte Elena di Montenegro, le quali fecero fondere le proprie fedi nuziali, così come fecero moltissime altre donne della capitale in quanto non possedevano altro oro. Così, quell’oro, quegli anelli, sigilli di un amore immortalato e consacrato in un patto di fedeltà atavico nei confronti del congiunto veniva disciolto, un po’ come questo sentimento di affetto stesso nel Paese. Personalmente ritengo che ciò sia stato un ultimatum per i cittadini italiani in merito a ciò che avrebbe portato il fascismo: l’annullamento della persona e di quel sale che la alimenta, le emozioni. Tutto questo per alimentare la macchina della guerra come soluzione ai problemi della vita. Parallelamente a queste giornate di “Oro alla Patria”, è possibile evincere in molti altri aspetti, spesso sottovalutati, quali furono gli stravolgimenti del regime: uno dei più importanti penso sia nel mondo dell’arte.Infatti la dimensione della creatività, quel rifugio dove l’uomo scappa quando vuole salvarsi dall’esterno, è stata fortemente destrutturata della sua essenza di espressione dell'intelletto umano preferendo invece linee crude, quasi violente. Basta pensare agli innumerevoli edifici, soprattutto a Roma, in pieno stile razionalista italiano dove abbiamo la perdita del sentimento, del colore e della ricerca del bello, volendo enfatizzare e imporre al popolo una visione grigia e che non ammette debolezze… una perfezione schematica e al contempo inibitoria nell’essere completamente se stessi, cosa che si contrapponeva al fenomeno degli impressionisti di “esplosione della figura". Un vero e proprio ritorno, ma anche contorcimento di tipo propagandistico, agli stili del passato che si rifacevano all’Impero Romano togliendo, però, il senso stesso di arte, come espressione del genio creativo umano. Questo fu un evidente segno di quanto il Duce volesse trasformare questa disciplina naturale in uno specchio che, al posto di riflettere le normali fattezze di un corpo, ne ingrandisce i connotati positivi e impicciolisce quelli negativi, le debolezze. Insomma, tutto ciò ci deve far estremamente riflettere.  Da una parte abbiamo una società che è sempre di più sull'orlo dell’implosione in quanto erosa dal potere fascista, mentre dall’altra abbiamo un piano totalmente opposto dove in continuazione i propri desideri diventano dovere e dove l’oppressione è l’arma più semplice da usare in ogni ambito concepibile dalla mente umana. Il corso della storia noi lo sappiamo. L’armistizio dell’8 settembre, nella sua catastrofica divisione dell’Italia in Regno del Sud alleato con le forze anglo-americane e la RSI con sede a Salò e capitanata da Mussolini, portò a risvolti positivi perché fece iniziare la corsa partigiana alla liberazione con riscontri positivi: la fine della guerra e l’inizio della storia contemporanea repubblicana nel paese. Nonostante ciò penso molte volte ai cittadini, agli ultimi, che dico, a quelli che sono ai margini della società, coloro che non si arresero e combatterono la resistenza: e se si fossero abbattuti alle forze del regime?Lo so, la storia non si fa con i “se”, ma pensarci mi mette i brividi: si è arrivati a tal punto da amare sfrenatamente la propria Nazione tanto da ripudiarla per la “forma” che aveva preso in quel periodo, lottando e sacrificandosi per lei, sapendo che la propria vita e il proprio sforzo sono un dono per il futuro non per se stessi Un altro aspetto che ritengo meritevole di essere considerato per trovare risposta a questo dubbio in merito al coraggio e alla persistenza della lotta per il proprio Paese, non posso che pensare a storie come quelle dei flussi migratori odierni e di chi decide, per le più svariate motivazioni, di lasciare la propria terra per la ricerca indiscriminata di altre nazioni che accolgono coloro che diventano, quindi, ombre della guerra e della violenza. Paradossalmente ciò sembra un voler fuggire dai propri doveri di cittadino e dal proprio patto di legame con la Patria, effettivamente ritengo che questa sia la conseguenza stessa dell’immigrazione, però questa dimensione di mancata nazionalità morale penso vada visto in maniera più ampia. Infatti dipende tutto da ciò che una persona vede e vive in due fasi della propria vita cruciali: la prima è la scelta di quale sia la Patria alla quale appartenere e la seconda che riguarda la panoramica e il tessuto sociale del paese in cui si nasce. Una sorta di gioco del destino, una pista da ballo dove siamo liberi di scegliere ma obbligati a sottostare alle regole di una sorte a cui non possiamo opporre resistenza. Cosa fare qui? Penso che la vera soluzione quando si vive chiusi in questo labirinto sia quella di convertirsi da una cittadinanza nazionale ad una mondiale, un cambio di realtà che sposta il centro dalle proprie radici e dalle proprie origini mettendo il focus sul voler essere membro attivo di altri schemi, quelli mondiali, in una visione universali di ciò che è l’abitudine.Quindi, ritornando alla domanda iniziale, la mia risposta è che sì, ci si può e ci si dovrebbe sposare con la propria Patria, ognuno dovrebbe sentirsi protetto da una nazione, imparando a viverla nell’interezza del bagaglio storico e culturale che porta (composto da motivi di vanto ma anche di vergogna). Insomma, come detto prima, noi tutti cittadini abbiamo diritti e doveri che riguardano un riflesso trasversale con il quale vediamo la Nazione, potendo così diventare, oltre che “coniugi”, anche eredi del passato di quel determinato Stato per costruire un futuro consapevole e che consideri i successi, le speranze e penso soprattutto anche gli errori commessi per evitare che essi si possano ripetere. Ciò, se realizzato, porterebbe alla creazione di un ulteriore aspetto del “matrimonio”, il confronto.Questo perché diventare il corpo di un’idea, in questo caso una Nazione, porta da una parte un sentimento materno di difesa, mentre dall’altro genera echi continui in merito all'auto valutazione di quanto si compie per rimanere sempre nella via della giustizia etica e della coscienza democratica. Infine penso che questo legame debba però essere fondato seguendo i princìpi morali di una cittadinanza sana, potendo così aprire le porte a livello globale di destini di pace e libertà.

Micheloni Alessandro

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