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EDITORIALE

Adventus: “colui che deve venire, il solenne arrivo di ciò che si aspetta".

Questo è il titolo che abbiamo deciso di dare al secondo numero del X anno di Increscendo. Un nome, quello con cui andiamo a racchiudere i temi trattati nelle oltre ottanta pagine, che porta con sé un monito, una richiesta: ormai non siamo più in attesa, come nello scorso numero, ad oggi sappiamo e vogliamo che accada qualcosa per scardinare tutti quei meccanismi di odio per stravolgere le regole del gioco a cui l’umanità sta partecipando, e che forse sta diventando troppo grande.

L'attesa si è trasformata in urgenza, e il silenzio non è più contemplato come opzione. È il tempo dell'azione, della presa di coscienza collettiva.

Cosa deve arrivare? La pace, la dignità universale delle persone, un periodo di stabilità… tutti fattori che compongono sguardi che abbiamo sempre più il bisogno di concretizzare per non fargli perdere nelle pieghe della storia senza darne peso.

Sono desideri antichi eppure sempre nuovi, che reclamano di essere ascoltati e finalmente messi al centro delle priorità umane.

Quindi, in una prospettiva di visuale della dimensione umana come uomo detentore di un tempo infinito e non racchiuso in un arco di tempo che è la sua esistenza vediamo sempre di più follie egocentriche che diventano solchi irremediabili dell’eredità che il nostro presente lascerà al futuro.

Viviamo in un tempo che dimentica troppo in fretta, che brucia ideali e relazioni, lasciando solo ceneri e confusione.

Tutto questo lo accettiamo? No, infatti proprio questo sentore di sfiorare il raggiungimento di quanto citato prima senza veramente raggiungerlo ci rende come tanti Icaro dei giorni nostri, con ali di cera che saprebbero volare ma si sciolgono.

La tragedia non è nel cadere, ma nel non imparare mai dal volo fallito.

La differenza ad oggi è che, però, non la naturale luce del sole a bloccare il superamento dei limiti umani, ma è tutto pilotato sulla scacchiera degli equilibri umani con mani che muovono pedine in una, apparentemente, irrimediabile onda di abbattimento della democrazia per preferire i dispotismi.

Non è il destino a frenare l’uomo, ma l’uomo stesso quando abdica alla propria coscienza e cede il potere a chi semina odio.

Per questo, vedendo la foto della cattedra di San Giovanni in Laterano vuota che fa da copertina a questo numero che si può definire come quello più “politico”, non si può che pensare alla solennità e alla maestosità dietro ai valori umani e a tutti quegli avanzamenti che hanno forgiato il nostro tempo svanire tragicamente in quanto non esiste più alcuna persona che decida di tenere salde queste radici.

Una sedia vuota può fare più rumore di mille parole: il silenzio dell’assenza è grido dell’urgenza.

Qui proprio il senso di sedevacantismo dietro all’uomo, quell’immagine non è più religiosa, ma rappresenta la condizione umana che viviamo oggi: manca qualcuno che unisca, costruisca ponti e arrivi a sedersi su quel trono per dettare un cambiamento.

Eppure, forse quel qualcuno non è un singolo, ma un insieme: ognuno di noi chiamato ad occupare il proprio posto con coraggio e responsabilità.

Ad oggi la politica non ha più bisogno di compromessi, in quanto annullano la purezza dei valori, ma di punti di coesione per trovare serenità.

Servono ideali chiari, azioni trasparenti e un’etica che non sia negoziabile.

Per questo vediamo un velo di oscurità attorno allo scatto, questo è la guerra e l’odio, mentre il raggio che squarcia tutto è la speranza che non delude ma arma l’umanità con l’unico strumento che non distrugge ma crea: la pace.

È un invito a scegliere da che parte stare, ogni giorno.

Non stiamo aspettando un nuovo “Messia” con questo numero, ma è come se chiamassimo i grandi del mondo a riflettere per comprendere quanto ad oggi si stiano costruendo imponenti castelli senza delle vere basi per farlo, mancano i valori e manca la dignità di tutti e del singolo per poter tornare ad uno stato di solennità e sacralità dell’uomo degno di essere tale.

Perché senza fondamenta, anche l’edificio più sontuoso è destinato a crollare sotto il peso della propria vanità.

Infine vorrei lasciare un messaggio personale, questo è l’ultimo numero in cui farò parte della redazione di Increscendo in quanto dall’anno prossimo, si spera, lascerò la secondaria di primo grado per spiccare il volo verso mete più grandi e lontane: le scuole secondarie di secondo grado, le superiori.

Un passaggio di testimone, non solo tra generazioni, ma tra responsabilità e sogni.

Ritengo che aver fatto parte di questa redazione abbia stimolato in me una voce che difficilmente verrà dimenticata, in quanto rimbomba nelle mie corde come un eco che alimenta e da energia per continuare ad aver fede nel pensiero e nel ragionamento critico come chiave di lettura per aprire il mondo e leggerlo in tutte le sue pagine che non sono finite, sono ancora da scrivere e adesso tocca proprio a noi che viviamo questo presente decidere quali parole inserire e quali nomi lasciare impressi in questo grande libro che è la storia.

Scrivere è resistere. Pensare è agire. E farlo insieme è ciò che rende tutto questo davvero possibile.

Spero che in questi tre anni di partecipazione al magazine possiate, voi lettori, aver colto il fondamento di tutto questo impegno nel riflettere e scrivere testi: una passione irrefrenabile per il ragionamento e per il non voler stare zitto, ma parlare e cercare dibattito.

Perché il silenzio può essere complice, ma la parola può essere salvezza.

Sinceramente, a questo punto, ritengo che se questo è stato allora posso ritenermi veramente felice.

La gratitudine, oggi, è il mio modo per dire addio. O meglio: arrivederci.

Come ha fatto Alessandro, mi sento assolutamente in dovere di dire qualcosa anch'io.

In questi anni, far parte della redazione di Increscendo non è stato solo un impegno scolastico, ma una vera esperienza di crescita. Ogni articolo, ogni discussione, ogni brainstorming ha contribuito a costruire una parte di me. Scrivere non è mai stato solo mettere parole su carta, ma un modo per dare forma ai pensieri, per cercare di capire il mondo e per lasciar traccia del proprio passaggio.

Lascio questa redazione con un bagaglio ricco di esperienze, riflessioni e parole condivise, e con la consapevolezza che il confronto e la scrittura sono strumenti potenti, che continuerò a portare con me.

Non so cosa mi aspetta esattamente “dopo”, ma una cosa è certa: la voce che ho scoperto qui continuerà a parlarmi, a guidarmi, a farmi domande. E, soprattutto, a ricordarmi che vale sempre la pena cercare la verità, esprimersi, e contribuire con le proprie idee a costruire qualcosa di più grande.

Grazie a chi ha letto, discusso, sostenuto. Grazie a chi ha creduto in questa avventura. E grazie anche a me, per non aver mai smesso di crederci.

Non rimaniamo nel triste, però, Increscendo è bello proprio perché si rinnova, per riprendere il titolo arriverà qualcun altro a prendere il posto mio e di Ginevra, questo garantirà un continuo del solco dei valori della redazione con una continua mutazione temporale ma che non dimentica il passato.

Ogni fine è anche un inizio, e ogni voce nuova che si alza tiene viva la fiamma accesa da chi è venuto prima.

Auguro a tutti una buona lettura e vi ringrazio per l’attenzione data in questi tre anni.

Che questa attenzione diventi cura, e che la cura diventi azione.

Saluti di cuore

I direttori

Micheloni Alessandro

Ravagna Ginevra

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