LA CHIAMATA

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Domenica 23 marzo 2025.
Dopo l’annuncio del sabato precedente, Papa Francesco si affaccia dalla finestra del Policlinico Gemelli cercando di fare qualche gesto di saluto e sforzandosi per fare un discorso completo; poi, parte con direzione Residenza Santa Marta dove lo attenderanno due mesi di convalescenza.
Sono tanti gli scatti, poche le parole che si mettono nei panni del Pontefice, una vera e propria invadenza nei confronti del Santo Padre, una figura emblematica che vediamo in un periodo dove ogni respiro e ogni pensiero sembrano implorare pietà verso gli uomini e verso la natura per poterlo sprigionare da standard che solo il più impeccabile delle macchine potrebbe raggiungere.Alla fine, se non è umano lui, chi lo è veramente?Se andiamo a fondo nell’identità del Pontefice scopriamo che è l'erede morale dell’operato di San Pietro, l’apostolo prediletto da Gesù per fondare e guidare la Chiesa cattolica. Sì, proprio Pietro, colui che per primo, quando chiamato a riconoscere “l'appartenenza” a Gesù nei giardini del palazzo del Sommo Pontefice, lo rinnega per ben tre volte affermando con certezza di non conoscerlo.Proprio così, Pietro che viene visto più volte palesarsi al Messia come un peccatore viene scelto per essere suo rappresentante e sua voce di fronte alle comunità cristiane di tutto il mondo e - soprattutto ai nostri giorni - alla società intera, in quanto la figura del Papa è ormai simbolo di filosofia universale per il dialogo pacifico.Perché è stato scelto un peccatore, colui che sbaglia?Semplice, Pietro siamo tutti noi, tutti noi preferiamo la via della certezza rispetto a percorsi più temerari ma che sappiamo portarci a soluzioni moralmente giuste: alla fine, rinnegando Gesù, Pietro si è salvato ed ecco qui che l’indifferenza si trasforma nella chiave che apre le porte di una fittizia salvezza.In futuro però, il primo Papa, di chiavi ne adotterà altre: quelle di essere un pastore e esempio di martire, quindi di alta fede, per valori che riteneva giusti. Qui entriamo in gioco noi: da che parte decidiamo di stare? Se non si fosse capito qui non è più un discorso di religione, ora si parla di affari civici e morali che, da sempre, tormentano l’uomo e per i quali non si è ancora riuscito a trovare una risposta. E la figura di Pietro ci fa capire bene questo dualismo.Un contrasto tra giustizia morale e apatia che sempre di più sembra una rivalità senza fine tra autori e spettatori del nostro tempo. Due ruoli tanto distanti quanto vicini in un rapporto indissolubile ma anche indescrivibile: chi non fa è anche chi fa di più alla fine.Mi spiego meglio: non agire comporta un’assenza talmente profonda che crea l’essenza del male, un covo di malvagità provocato da pochi che volontariamente compiono la scelta consapevole di non essere.Cosa serve per salvarci? Per rispondere a questo dubbio che mi assale torno sulla storia di Pietro: dall’errore si trasforma in tempio di bene, si converte ma, preciso, non si converte da una religione all’altra ma da una vita all’altra. La conversione: un concetto che racchiude al suo interno una dimostrazione assai nobile perché preclude sia l’errore umano ma, contemporaneamente, l’esistenza di una salvezza, di un cambiamento. L’etimo di questa parola è proprio “convertÄ•re“, che vuol dire letteralmente dirigere verso un miglioramento, come se una voce da dentro chiamasse l’interessato a diventare una nuova persona: Pietro ciò lo conosce. Infatti, per far capire ciò al primo, quando Gesù lo sceglie come suo apostolo, gli cambia nome da Simeone a Pietro, lo rende istituzione di umanità e lo fa uscire da una crisalide di abitudinarietà preferendo per lui la novità. Ecco, proprio questo ci deve insegnare quanto la lotta tra seguire la morale o ascoltare l’indifferenza deve essere per tutti noi un percorso di conversione in modo da stipulare una sorta di patto con noi stessi per diventare la parte migliore di noi da mettere in servizio in una missione di nuova persona e nuova vita: alla fine questo è l'uomo.
Alessandro Micheloni
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